“Una storia come la mia non andrebbe mai raccontata, perché il mio mondo è tanto proibito quanto fragile, senza i suoi misteri non può sopravvivere. Di certo non ero nata per una vita da geisha, come molte cose nella mia strana vita, ci fui trasportata dalla corrente. La prima volta che seppi che mia madre stava male, fu quando mio padre ributtò in mare i pesci, quella sera soffrimmo la fame, “per capire il vuoto”, lui ci disse. Mia madre diceva sempre che mia sorella Satsu era come il legno, radicata al terreno come un albero sakura. Ma a me diceva che ero come l’acqua: l’acqua si scava la strada attraverso la pietra, e quando è intrappolata, l’acqua si crea un nuovo varco”
Sono queste le parole con le quali il film “Memorie di una geisha” (diretto da Rob Marshall, basato sull'omonimo romanzo di Arthur Golden) ci proietta nel turbolento percorso di vita della piccola Chiyo, una bambina di soli 9 anni che, a seguito della prematura morte della madre, viene separata dalla sorella e venduta ad una casa di geishe, una cosiddetta okiya.
Dopo svariati tentativi di fuga, Chiyo finisce per accettare quel destino che era stato scritto, da qualcun altro, per lei, dapprima come serva della casa in cui abitava e in seguito come aspirante geisha.
Nella speranza di potersi avvicinare al Direttore Generale, uomo elegante e gentile di cui Chiyo finisce per innamorarsi perdutamente, la giovane donna inizia a studiare con ambizione e diligenza, con l'obiettivo di distinguersi per arrivare ad affermarsi come la Geisha più rinomata di Gion.
Questo è solo l'inizio di una crescita che vede Chiyo districarsi tra duri addestramenti di portamento, eleganza, movimento, danza e musica: “la parola geisha significa artista, ed essere geisha vuol dire essere valutata come un’opera d’arte in movimento”.
L'errore non è ammesso, la distrazione non è tollerata. Davanti alla spasmodica ricerca della perfezione, l'espressione del se diventa puro controllo, al punto da confondere il proprio io con la proiezione di un modello da dover raggiungere. In questa ricerca il rischio è quello di rinunciare alla propria identità, al proprio nome: da Chiyo a Sayuri.
Non sono solo il rigore del portamento e la geometrica perfezione dei kimono a contaminare il cuore genuino della ragazza. Non sono solo le interminabili sessioni che la vedono alle prese con acconciature e trucco, dove “lei si dipinge il viso per nascondere il viso” ad annebbiare la sua primordiale essenza. Sayuri, infatti, presto arriva a rendersi conto di quanto la rivalità con le altre geishe possa essere velenosa e di quanto l'ambire ad un ruolo tanto prestigioso abbia suscitato nella sua protettrice, Mameha, un'aspettativa altissima.
Così, oltre ad apprendere il controllo assoluto dei suoi movimenti, dei suoi gesti e delle sue espressioni, Sayuri impara presto ad avere padronanza dei suoi sentimenti e del suo cuore, fino a quando, dovendo vendere la sua verginità ad un ricco uomo, accetta di rinunciare anche al suo più grande amore, coltivato in segreto negli anni.
“Non è per una geisha amare, non è per una geisha provare sentimenti”.
Dopo numerosi e controversi avvenimenti Sayuri diventa finalmente la geisha più potente e famosa di tutta Gion. La sua eleganza è ormai un simbolo d’icona, la sua forza un'istituzione.
Tuttavia, il ruolo che si è conquistata attraverso così alti sacrifici durerà poco: la Seconda guerra mondiale e i bombardamenti annessi azzerano presto la vita di tutti e, quando nel 1943 Gion, il quartiere delle geishe di Kyoto, viene chiuso dal governo, Sayuri si trova costretta ad emigrare in campagna trovando lavoro come cucitrice di paracaduti militari presso un ex fabbricante di kimono.
Qui rimane diversi anni, lavorando duramente ogni giorno fino a perdere ogni speranza e ogni rapporto con la vita precedente.
“Fin quando la vecchia vita diventa un sogno, ero mai stata una geisha? Avevo mai danzato reggendo un ventaglio? Chi avrebbe retto un ventaglio ora o dipinto le labbra? E poi un altro anno, nulla. Riso, lavoro. Riso, lavoro. Nulla”.
Nonostante Sayuri abbia esaurito ogni fiducia nel ritorno alla vita passata, un giorno, viene ricontattata dal mondo al quale apparteneva per tornare ad esibirsi come geisha: un gruppo di finanziatori americani, incuriositi dalla storia e dalla tradizione giapponese, vuole rimettere in piedi l'okiya e ripristinare il culto delle tanto rinomate intrattenitrici.
“Se un albero non ha foglie nè rami, si può ancora chiamarlo albero?” così si interroga la donna, ma il desiderio di una possibile riconciliazione con il suo unico amore, il Direttore Generale, è troppo forte.
Sayuri va alla ricerca di Mameha, la sua ex protettrice, con l’obbiettivo di ricostruire quel mondo e con esso quell’identità che da qualche parte è ancora sommersa dentro di lei.
Inizia così un graduale ripristino della sua immagine, una ricostruzione di quell'ambiente di lusso e di eleganza che con esso porterà nuovamente in vita un clima di rivalità.
Zucca, la migliore amica d'infanzia di Sayuri, non avendole mai perdonato di averla superata come geisha, orchestra una trappola che le farà perdere, oltre che la dignità personale, valore come geisha.
Una triste dimostrazione che la guerra, la sofferenza, il decadimento di un’era e con esso di un mondo, non erano riusciti comunque a cancellare i conflitti umani e gli intercorsi personali.
“Il cuore muore di morte lenta. Perdendo ogni speranza come foglie. Finché un giorno non ce ne sono più. Nessuna speranza. Non rimane nulla.
Se un albero non ha né foglie né rami, si può ancora chiamarlo albero?
Lei si dipinge il viso per nascondere il viso.
I suoi occhi sono acqua profonda.
Non è per una geisha desiderare.
Non è per una geisha provare sentimenti.
La geisha è un’artista del mondo che fluttua.
Danza.
Canta.
Vi intrattiene.
Tutto quello che volete.
Il resto è ombra.
Il resto è segreto.”
Nonostante il dolore per il tradimento subito, il cuore puro di Sayuri è destinato all'amore vero: una mattina un uomo sconosciuto, richiede nuovamente la sua presenza come geisha, riscattando inaspettatamente il suo debito.
Sayuri si prepara nuovamente, si veste con attenzione, si trucca e attende sotto al gazebo di un parco l'arrivo dell'uomo misterioso che l'aveva richiesta nonostante il suo nome non godesse più del valore dell'epoca.
Tra le luci del crepuscolo e i riflessi rosa dei fiori sull'acqua del fiume la donna rimane sorpresa nel riconosce il volto del Direttore Generale, l'unico uomo che avesse mai realmente amato e che, ormai lontano da qualsiasi infrastruttura sociale e senza più nessun delicato equilibrio da rispettare, può finalmente confessare il suo amore per lei, dando il via ad una nuova vita per entrambi basata su un sentimento puro e sincero, che nemmeno gli anni, i conflitti e la guerra erano riusciti a spegnere.
'Non si può dire al sole "più sole". O alla pioggia "meno pioggia".
Per un uomo, la geisha può essere solo una moglie a metà. Siamo le mogli del crepuscolo.'
«Dalla visione di questo film ho riconosciuto una connessione profonda: estrapolate dalla cultura giapponese dell'epoca, le dinamiche illustrate possono essere riportate ad una qualsiasi altra vita del giorno d'oggi»
«Quante volte ci fossilizziamo nel raggiungimento di un ideale imposto, di una figura di un determinato livello? Talvolta, anche al costo di perdere la consapevolezza di noi stessi, andiamo avanti in un percorso che, senza accorgercene, è cambiato o ci sta cambiando. L'annullamento di noi stessi per la società, per un lavoro o per un singolo individuo mi fa molta paura.»
«Personalmente vivo con il terrore che questo possa accadermi e mi chiedo ogni giorno se veramente sto facendo quello che voglio, se sto andando nella direzione libera che mi rispecchia, se sono realmente io quello che sono diventato e quello che potrei diventare.
Non è sempre facile, ma forse fa parte della crescita»
«L'eleganza e la geometria di questo film mi hanno incantato. La cura per i dettagli e la lentezza nella preparazione sono così coinvolgenti da essere quasi piacevolmente estenuanti. Voglio pensare che a Sayuri piacesse essere una geisha e amasse quel mondo nonostante non fosse disposta ad accettarne tutte le dinamiche e al tempo stesso non volesse rinunciare a se stessa.»
'"Eppure apprendere la gentilezza, dopo tanta poca gentilezza, capire come una bambina con più coraggio di quanto creda, trovi le sue preghiere esaudite, non può chiamarsi felicità?"
«Una conclusione a lieto fine, come un albero di sakura che letteralmente rinasce tingendosi di un colore nuovo: un rosso sangue che assorbito dal terreno diventa rosa.
Assieme al nuovo colore, alle nuove vesti, si unisce una nuova possibilità di essere finalmente felice, felice nell'amore vero.»
-Fabrizio Corbo