Calilla

Alle prime luci dell’alba, sulle incontaminate sponde di una costa deserta, qualcosa emerge tra la fredda e compatta sabbia mattutina.

Tra scintillanti frammenti di conchiglie rotte e fibre di alghe disidratate, solide e intrecciate corde affiorano dure come fossili: sono le reti di Calilla,

un’abile pescatrice che tutte le mattine si reca in spiaggia per svolgere il suo rituale. 

Solitaria e puntuale, con la sua imbarcazione si spinge sicura verso il largo,  là dove l’azzurro del mare diviene sempre più scuro e inaccessibile,

dove il cielo si diluisce nell'orizzonte celando incognite cui nemmeno lei sa come porre rimedio.

 


Durante l’inverno, quando il pescato è solito riservare ricche sorprese, Calilla annoda sapientemente le reti delle sue catture, scegliendone le corde e intrecciandole con cura: la tratta è perigliosa e difficile, è necessario che i motivi siano ben saldi per il viaggio.

 

 


 

Una domenica di febbraio, coi raggi del sole mattutino che rispecchiavano ridenti baluginii sulle increspate onde dell’Adriatico, la sfortuna coglie Calilla sulla tratta del ritorno.

 

Mentre remava sicura col suo succulento bottino, un crostaceo rimasto intrappolato era riuscito a incidere alcuni nodi nascosti al di sotto della rete, liberando il resto delle prede nella profondità del turchese e vanificando un’intera giornata di lavoro.

 


Calilla si accorge troppo tardi del danno avvenuto e tenta inutilmente di correre ai ripari: la sua rete è danneggiata, il pescato è oramai perduto.

Presa da un incommensurabile senso di fallimento, Calilla inizia forsennatamente a remare per raggiungere la riva, non si dà pace e vuole porre fine a quella disgraziata giornata che tanto le aveva tolto.

Quella volta, però, il tragitto le sembrava interminabile.

Lo sgomento provocato da quel senso di impotenza sembrava aumentasse la distanza che la separava dalla terra ferma, sicuro approdo dalle grinfie di una natura matrigna. 

 

L’idea che quei nodi da lei stessa scrupolosamente intrecciati non avessero tenuto non le dava tregua. 


Arrivata sulla spiaggia, Calilla incaglia velocemente la barca tra gli scogli e corre dritta verso casa: l’onta del fallimento la tormentava, non c’era nessuno che potesse dissuaderla dalla vergogna. Il suo era un lavoro fatto di alti e bassi ma mai le era accaduto di perdere un intero pescato.

Il giorno dopo, con le luci del mattino oramai prepotentemente presenti, Calilla si reca in spiaggia molto più tardi del solito: non era sicura che sarebbe andata a pescare, forse non ne aveva più voglia, forse era stanca, delusa e un po’ disorientata: un carattere così determinato non era solito accettare di buon grado i fallimenti. 

 

Dopo un paio di tentennamenti, Calilla decide di recuperare dall'imbarcazione la sua rete e di distenderla sulla sabbia per esaminarne i punti rotti e cercare di risanarli. Con dovizia, inizia a ricucire ogni singolo foro, scandagliandone le fattezze con precisione chirurgica. 


Dopo diverse ore di lavoro, Calilla alzò la testa verso l’orizzonte e d’un tratto, proprio da quelle acque che l’avevano umiliata davanti all’intero villaggio, una ventata di bellezza le rasserenò l’animo. 

 

Osservando ora la sua composizione quasi accennava un sorriso soddisfatto: i rattoppi fatti per sigillare quelle vergognose crepe avevano dato vita ad un motivo geometrico meraviglioso. 


 

 I punti ricamati sembravano posti per tratteggiare una romantica composizioni di fiori, peonie, rose e delicati rami che affioravano ora dalle maglie della rete e si estendevano forti e rampicanti per tutta la sua lunghezza. 

 

Senza nemmeno accorgersene aveva dipinto un quadro straordinario. 

 

La sua composizione, adesso, splendeva di una nuova luce.

 

 


 

In quel momento, Calilla si rese conto di ciò che aveva fatto. 

 

In quell'istante comprese quanta bellezza potesse rinascere da una rottura,

quanto sentimento potesse nuovamente scorrere fluido e sincero da quelle che una volta erano soltanto le crepe di una perdita. 

 


Ora amava la sua rete, così com'era, con tutte quelle piccole cicatrici che messe assieme formavano una struttura di rara bellezza.

 


Non le importava più di ciò che aveva perduto tra i flutti, aveva compreso che alcune cose, seppure belle, a volte si disperdono senza reale motivo e senza dare un preavviso, semplicemente per loro volontà, e lei non aveva armi né per trattenerle ne per costringerle a rimanere. 

 

Le era chiaro che l'unica azione da compiere era fare i conti solamente con quello che le rimaneva, e non più con quello che le era appartenuto. 

 

Aveva imparato a stare nel presente. 

Aveva imparato a lasciare andare. 


 "Lasciamo andare così, le cose di poca importanza, gli eventi che non hanno rilevanza e abbandoniamo i contatti che non ci interessano lasciando che si disperdano nel mare come pesci di piccola taglia.

Nella nostra rete da pesca, non c'è spazio per tenere tutto e soprattutto non vogliamo.

È tutto molto facile quando gestiamo in prima persona i nodi di questo aggrovigliato intreccio e scegliamo cosa trattenere oppure no,

diventa più difficile quando un pesce buca con forza la rete e decide di uscirne, senza motivo, senza preavviso, senza una giustificazione.

Semplicemente così.

In quel caso il lasciare andare diventa un’ ipotesi ingestibile, fuori dal controllo di ogni abile pescatore, un frustrante pensiero che induce a vedere solamente il buco nella rete e nient' altro.

 

Ho voluto ragionare questa collezione proprio basandomi su questo tipo di sentimento, su quanto sia difficile accettare dei no, dei fallimenti, delle perdite e su quanto sia difficile, in alcuni casi, accettare che le cose scorrano per un verso opposto rispetto a quello disegnato da noi, o peggio ancora quando rimaniamo nel silenzio di una risposta che non arriverà mai

.

In questi casi, credo che l’unica cosa che possiamo fare sia lasciare andare."

 

- Fabrizio Corbo

 


"Lasciare andare, se vogliamo ottenere la bellezza, è necessario lasciare andare.

 

La bellezza è fatta cosi, arriva quando smetti di chiedere,

quando smetti di fare delle domande,

quando non aspetti più nessuna risposta.

La bellezza arriva quando la lasci andare.

 

Non sai mai di preciso quando arriva, non sai quanto dura e non sai nemmeno quando andrà via.

Sai solo riconoscere quando c’è, perché la bellezza, quella vera, è sempre libera."

 

- Fabrizio Corbo

'E fu il calore di un momento

Poi via di nuovo verso il vento

Davanti agli occhi ancora il sole

Dietro alle spalle un pescatore'

 

Fabrizio De Andrè - Il Pescatore